Il mio interesse per la fotografia risale agli anni ’60, quando acquistai la mia prima fotocamera, una Nikkormat Ftn, che mi permise di avvicinarmi al mondo dell’immagine, ancorché inconsapevole del suo vero significato e della molteplicità degli obiettivi e delle forme che può assumere.
Quelle che io prediligo sono la Street Photography e il Reportage, che raccontano storie di vita, di gioia, di dolore, di morte.
Ammiro profondamente chi affronta rischi e disagi inimmaginabili per raccontarci ciò che avviene dall’altra parte del nostro mondo, in teatri di guerra, fra esseri oggetto di violenze e privi di ogni diritto, soggetti a fame, sfruttamento e maltrattamenti di ogni genere.
Molti grandi fotografi hanno dedicato il loro estro, la loro capacità, il loro sacrificio a rappresentare l’uomo nei suoi momenti più tragici, di disperazione, di sgomento, di ansia, o più felici, di successo, di speranza, di fiducia, di ottimismo.
Basti citare Cartier Bresson, Sebastiao Salgado, Bob Capa, Erwin, Steve McCurry, Natchway, McCullin e tanti altri ancora: alcuni, come Capa, hanno sacrificato la loro vita nel tentativo di documentare gli avvenimenti di cui erano testimoni.
Fra questi grandi maestri mi piace annoverare Marco Gualazzini, che ho il piacere di conoscere personalmente e che, nonostante la sua giovane età, ha vinto uno dei premi del prestigioso evento World Photo of The Year.
Ci ha regalato, con la sua presenza, una serata diversa da quelle cui siamo abituati ad assistere, nelle quali ascoltiamo autorità istituzionali o professionisti, calati nella vita civile che conosciamo e c’è vicina.
Marco con le sue foto, leggermente sottoesposte, per rendere ancora meglio la drammaticità di luoghi, eventi e momenti vissuti in paesi africani afflitti da carestie, guerre ed eventi drammaticamente epocali, ci ha “calato” in realtà che noi non conosciamo e che forse preferiamo non conoscere, per sentirci meno coinvolti e meno colpevoli come parte del genere umano.
E’ stata una serata di forti emozioni, molto intensa e forse la dimensione di questa intensità è stato il profondo silenzio con il quale abbiamo assistito alla proiezione di alcuni filmati raccapriccianti e di alcune delle foto più significative di Marco.
Giuliano Ghillani.
Si leggono resoconti di incontri rotariani e relazioni di service od annate e difficilmente troviamo espressi i pensieri e le sensazioni che si provano vivendo quegli incontri e quelle attività.
E’ molto difficile, infatti, descrivere in parola scritta la bellezza di condividere i momenti di approfondimento e di lavoro pervasi dall’amicizia che il Rotary sa infondere.
Certo che questo si applichi a quanto segue, quello che mi fa piacere sottolineare ricordando la presidenza di Gianluigi Giacomoni è un breve pensiero sulla bella serata nella quale il fotografo Marco Gualazzini ha raccontato le particolarissime difficoltà nelle quali si è trovato effettuando reportage da zone colpite da guerre, disordini o carestie.
Per quanto la serata fosse organizzata in un bellissimo luogo (Circolo Il Castellazzo) ed allietata dalla presenza di tanti soci e dall’ingresso di Gabriele Gherri come nuovo socio del Club, è stato facile venire proiettati dai racconti di Gualazzini in mondi nei quali il pericolo non nasce soltanto dal voler prendere uno scatto fotografico più da vicino ma anche dallo scegliere una stanza in una certa parte di Mogadiscio oppure dal fidarsi dei contatti suggeriti dalle agenzie.
In pratica, terminata la serata, a tutti è rimasta un impressione: quella di esserci stati e di averle viste di persona quelle immagini.
Penso che questa sia una delle cose più importanti per un fotografo in questo settore: farti vedere e capire quello che si vede e si capisce quando si è sul posto e così è successo con le fotografie “africane” di Gualazzzini che ci hanno portato in luogo nei quali ben difficilmente ci capiterà di arrivare … grazie anche di questo.
Alberto Magnani